15 Gen EX ILVA : ….. 20.000 LEGHE SOTTO IL MARE
Sono circa 20.000 i lavoratori che ruotano intorno alla Ex Ilva . Di questi circa 8.000 ( 2.500 in cassa integrazione) nello stabilimento di Taranto e oltre 12.000 rappresentano l’indotto collegato all’acciaieria. E’ proprio questo secondo gruppo di lavoratori che forse rischia di più infatti , oltre a restare senza lavoro, la miriade di piccole imprese che ne fanno parte per un buon 80% sono a rischio fallimento. Un disastro annunciato da almeno quattro anni. Non voglio entrare nel dossier specifico dell’ Ex Ilva , peraltro da giorni su tutti i quotidiani economici , bensì porre l’attenzione su come negli ultimi 10 anni e quindi con Governi in carica di tutti i colori dell’arcobaleno si è riusciti nell’impresa di dimostrare al mondo intero come si possa, con dilettantismo e incapacità tutta italiana ad arrivare al disastro attuale. Lo scarica barile tra i vari Governi in carica e ARCELOR MITTAL è appunto andato avanti per anni e continua ancora oggi sulla base di accorti presi e mai rispettati con un unico risultato concreto e visibile , quello che nel tempo la produzione si è via via progressivamente ridotta . Il colmo e/o meglio lo spregio generalizzato sullo stabilimento di Taranto è stato che questo inqualificabile andazzo è perdurato perfino in quegli anni in cui la produzione mondiale di acciaio è stata altamente profittevole in tutta Europa . A questo proposito basti pensare come nel corso del biennio 2019-2020 la produzione di Taranto sia stata maldestramente e volutamente lasciata “ bassa “ al solo fine di creare campo libero per numeri estremamente “ alti “ di vendite di acciaio per altri produttori stranieri. Sono i numeri che parlano da soli : nel 2023 come lo è stato per il 2022, la produzione si è infatti assestata a meno di 3 milioni di tonnellate , quota di molto sotto all’obiettivo minimo prefissato di comune accordo tra i soci pari a 4 milioni . Oggi come oggi in ultima istanza ACELOR MITTAL si è formalmente dichiarata disponibile ad accettare di scendere in minoranza nel c.s. della società ma (… e dico MA ) a condizione di non contribuire più finanziariamente in ragione della propria quota , scaricando così di fatto l’intero onere finanziario del problema al solito Pantalone ( lo Stato Italiano ) . Al contempo però i soci indiani reclamano , come condicio alla cessione delle quote , tutti quei privilegi già concessi nei patti formali sottoscritti tra gli azionisti quando si diede vita alla società Acciaierie d’ Italia. Fino a qui la storia odierna, ma cosa c’è sotto a questa patetica “ gara del dilettante “ ? Innanzi tutto l’imbarazzo e la figura di “menta” vissuta a Palazzo Chigi quando nell’incontro accaduto pochi giorni fa e durato meno di due ore , si è presentato il figlio del re dell’acciaio Aditya Mittal che ha ribadito in maniera molto pragmatica e ultima come la sua multinazionale non sia più disposta a mettere un solo euro negli impianti dell’ Ex Ilva , fatto questo che in un attimo ha letteralmente “ steso e zittito ” i quattro ministri italiani presenti . D’altro canto le intenzioni della famiglia Mittal erano state preannunciate con largo anticipo da Franco Bernabè , presidente di Acciaierie d’ Italia. Insomma era a conoscenza di tutti come lo stabilimento di Taranto , il più grande stabilimento industriale italiano, era oramai in un vicolo cieco. Oggi l’ impianto di Taranto è invecchiato ed è anti economico nella sua maggior parte dei reparti a causa delle sue peculiarità inquinanti tanto da aver dimezzato la produzione di una materia prima essenziale. Le domande quindi sono tre : 1) come rilanciare l’apparato produttivo italiano? 2) come salvare i posti di lavoro diretti e indiretti ? 3) Come fare eventualmente a convertire l’alimentazione degli impianti oggi ancora tutti a carbone e quindi bonificare l’ intera area geografica di Taranto? Il Governo è quindi di fronte ad una onerosa ri- nazionalizzazione dell’Ex Ilva ?? Quest’ultima è una delle possibili alternative, visto anche che un nuovo socio non si presenterà mai di fronte ad una siffatta cattedrale nel deserto . Se dovesse cadere anche la chance del un nuovo socio la prossima mossa , in alternativa alla ri-nazionalizzazione , potrebbe /dovrebbe essere la dichiarazione dello stato di insolvenza. Giorgia Meloni pur giustamente addossando la colpa di questo immenso problema economico-sociale ai premier che l’ hanno preceduta si ritroverebbe da ultima con il cerino in mano e forse a questo punto sotto sotto spera di finire come i protagonisti del libro di J.Verne che : ….si salvano su un’isola dell’arcipelago della Norvegia e tornano a terra sani e salvi.