SUNDAY BLOODY SUNDAY

SUNDAY BLOODY SUNDAY

Correva l’anno 1983 quando gli U2 “urlavano” al mondo...”how long must we sing this song?” Dal 1922 colonia della Gran Bretagna, nel 1973 divenne il nono Paese dell’Unione Europea ed è forse anche grazie a questo fondamentale passaggio che, piano piano ma con sofferenze enormi sopportate da un popolo fiero e pragmatico si arrivava alla fine a trovare la pace con gli accordi del “Friday saint” del 1998. Negli anni settanta l’Irlanda, isola verde e di una bellezza struggente, aveva 5 milioni di abitanti ed una economia povera ed arretrata. Oggi grazie al fatto che “uno vale uno” e quindi anche i piccoli stati europei hanno iniziato a contare per davvero, l’Irlanda è divenuta uno tra gli Stati più influenti nella politica comunitaria. Questo soprattutto contando su una economia e finanza agile, snella e liberale, in contrapposizione al centralismo economico e politico di Germania e Francia. Dopo la Brexit l’unico paese anglosassone rimasto tra i 27 della UE ed ha ben recepito come muoversi in questo ambito sfruttando appieno il fatto di sapersi schierare di volta in volta con quei Paesi che rappresentano meglio i propri interessi nazionali. Questa elasticità politica ed economica resa possibile anche dal fatto che l’Irlanda è lo Stato più liberale di tutto il panorama europeo e ciò grazie ad una popolazione giovane, multietnica, colta e professionalmente preparata: tutto ciò ha permesso di costruire un Governo di unità nazionale e condivisioni di intenti tramite l’alleanza tra i due partiti di centro destra ed i Verdi. Il minimo comune denominatore con altri Paesi UE quali Olanda, Lussemburgo, Lituania e Danimarca è certamente la propensione ad un rapporto economico e finanziario globalista unito ad una “creatività e liberalità fiscale “notevole. Anzi a ben guardare l’Irlanda sulla base della sua “hard taxation” ha fatto proprio il motto nazionale che cita “…la fiscalità è la prerogativa nazionale”. Tale elasticità fiscale creò fin da subito facilitazioni notevoli e fino a poco tempo prima impensabili per gli USA, tanto che il rapporto stretto tra Irlanda e Stati Uniti d’America divenne fin d’allora, e continua più che mai oggi, il “cuore” stesso della strategia economica irlandese. La solidità e certezza della Legge Fiscale del Paese (ad oggi) è avvalorata dall’annullamento da parte della Corte di Giustizia Europea della storica decisione datata 2016 presa dalla Commissaria UE Margrethe Vestager di imporre all’Irlanda l’ottenimento del pagamento di 13,5 miliardi di tasse da parte di Apple: risulta rilevante osservare che l’opposizione a tale decisione fu presentata sia da Apple che dall’Irlanda stessa come parte danneggiata!! L’isola ed il suo popolo però hanno pure un forte senso europeista e solidale verso gli altri Stati dell’Unione, tanto da schierarsi favorevolmente e senza indugio alcuno, durante il Consiglio Europeo del 21 Luglio spalleggiando il compromesso sul Fondo di ripresa Covid e sul MFF (budget settennale).  Oggi l’Irlanda dovrà iniziare il viaggio con l’Unione Europea per assicurarsi, per un futuro prossimo, i fondi necessari a contrastare efficacemente le forti perdite economiche sia attuali che prospettiche derivanti sia dalla Brexit, che per i necessari sussidi all’agricoltura che l’ottenimento del 25% sugli introiti doganali. Non bisogna mai dimenticarsi che il point -break dell’economia irlandese porta la data degli inizi degli anni novanta grazie allo stretto legame , oserei dire di sangue, che lega l’isola agli USA. Infatti da sempre il primo Ministro Irlandese è di casa a Washington , gli USA sono un alleato storico, basti pensare che dal 1850 ai primi anni del novecento gli irlandesi costituivano più della metà di tutti gli immigrati sul suolo statunitense. E’ proprio degli anni novanta il momento in cui le “multinational companies” USA coprono cosa può fornire l’Irlanda in campo fiscale , tutto a loro pieno vantaggio tramite una tassazione base societaria fissa al 12,5 % con poi ulteriori e successive  possibilità di detrazioni fiscali sulla base imponibile di notevole rilevanza economica per la parte del contribuente… A ciò si somma il fatto che per le multinazionali USA come pure per quelle di altri Paesi esteri extra CEE avere una sede operativa-finanziaria in Irlanda apre direttamente ed incondizionatamente le porte al mercato europeo. Ma non è stato tutto facile per l’isola . L’anno della crisi si è presentato nel 2008 con il default della Lehman Brothers. La bolla immobiliare e quindi finanziaria porta l’Irlanda ad essere parte integrante  del poco rinomato Club dei “PIIGS” in compagnia di Italia , Portogallo, Spagna e Grecia. Per tale episodio l’Irlanda risulterà , ad oggi, l’unico paese Nordico che abbia mai subito una simile onta , accompagnata da un PIN ha all’epoca raggiunse il 130%. Il Paese fu salvato dalla Troika europea con un bail—out da 85 miliardi di euro. A puro titolo di cronaca e per dare onore ad un popolo tosto e coraggioso, rammento che solo sei anni dopo tale episodio, l’Irlanda ricominciava a contribuire al bilancio europeo per una somma ben maggiore di quella che riceveva  e che nel 2018 ottenne un ambitissimo risultato ben “fotografato” dal rapporto debito/PIL stabilizzatosi al 60%:un successo ed un esempio per tutti gli altri Paesi membri. Nell’ economia attuale e post Covid tutti percepiscono i cambiamenti cui dovrà fare i conti il mondo, ad iniziare dalla fine della globalizzazione così come intesa fino a poco tempo fa , in primis l’Irlanda, ma così pure gli altri Stati europei dotati di una “fiscalità creativa”, cresce sempre di più la certezza che non passerà ancora molto tempo da quando il disallineamento fiscale con il resto dell’Europa dovrà essere appianato. Per Dublino poi vi è in più la necessità “fisica” ed impellente del fondamentale aiuto che dovrà ottenere da parte dell’Europa in merito alla questione della definizione della propria posizione economica e commerciale con termini ultimi e definitivi dell’uscita della Gran Bretagna dalla UE. L’Irlanda oggi è forte sia finanziariamente che politicamente . Questa solidità le ha permesso di non cedere alle pressioni di Downing Street, ed anzi la prima vittoria l’ha già ottenute non permettendo alla Gran Bretagna di imporre un confine “netto” nell’isola tra il Nord ed il Sud: gli accordi tra le due parti del 1998 sono sacri ed intoccabili. Analizzando economicamente la Brexit da parte irlandese, non si tratta certamente di un grande affare, anzi tutt’altro. L’economia irlandese sarà colpita duramente alla Brexit. Ad ogni punto percentuale di caduta del PIL britannico prevedo che coinciderà almeno un -0,33 % di quello irlandese e questo a causa delle imprescindibili interconnessioni tra le due economie. Ecco allora che l’Europa è già in movimento per garantire  a Dublino una certa sicurezza economica  che sarà portatrice di certezze politiche e sociali acclarando l’identità di una delle società più liberali d’Occidente. Senza ombra di dubbio oggi l’Irlanda  potrà compensare  i danni economici della Brexit con la sua indiscussa capacità, nelle relazioni internazionali , di imporre un potere politico forte ed una certezza nella sua forza e continuità economica, Paese così capace di attrarre e cooptare nuove risorse e ricchezze da altri Paese anche fuori la UE . Dublino appare più che mai la fotografia dell’espressione economico-politico “soft power” coniata negli anni novanta dal politologo americano Ioseph Nye: un paese che ha un potenziale di attrazione verso di sé alimentato con continuità attraverso la diffusione della propria cultura e liberalità , binomio fautore di un forte consenso internazionale. Tutto questo porterà l’Irlanda , nel contesto mondiale che si stà delineando non più globalizzato, ad ottenere una rilevanza sia dentro che fuori l’Europa assolutamente più che proporzionale rispetto alle sue reali dimensioni geografiche , il tutto avvalorato sia dalla lingua essendo la più parlata del mondo e sia dalla religione cattolica professata sull’ isola e per decenni brandita come fattore differenziante da una Inghilterra protestante . Come cantavano gli U2 :”… the real battle just begun.to claim the victory jesus won. On…”

Fabio Accinelli