LA SOLITUDINE DEGLI IMPRENDITORI

LA SOLITUDINE DEGLI IMPRENDITORI

Anno 2020: tutto è cambiato, la nostra vita e le nostre attività sia economiche che sociali. Il ritorno ad una parvenza di normalità procede col passo incerto di chi non sa esattamente come e cosa fare. Il risultato della pandemia, nell’ economia mondiale, ha aggravato in maniera drastica ed esponenziale una situazione italiana già prima difficile ed oggi spettrale. L’autunno che inizia tra pochi giorni, anzi ore anzi forse è già iniziato si annuncia bollente. Tutti gli imprenditori, oggi soli più che mai, tutti contro tutti, hanno però chiaro l’obiettivo che è quello di non arrendersi anche nell’ affrontare le crisi aziendali che si proporranno a catena sul mercato. Serve un cambio di strategia nel fare impresa, ridisegnare in maniera innovativa e di lungo periodo le strategie aziendali con attività economiche che possano incentivare la costruzione di nuovo reddito, aumenti nella produttività dell’intero sistema Paese con nuovo e costante grado occupazionale. Gli imprenditori per combattere ed attenuare la solitudine e le paure che attanagliano i singoli, chiedono allo Stato di “fare”, “far presto”, “fare il prima possibile”. Chi fa impresa ha dovuto prendere atto della realtà, adeguandosi e ponendosi sul “nuovo mercato” con la consapevolezza che questa nuova normalità dei mercati implica l’abbandono di molte caratteristiche  su cui si basava il “fare azienda” ante pandemia Occorre un piano di modernizzazione per ridisegnare un’ Italia migliore e finalmente più competitiva con uno sviluppo equo e sostenibile della comunità intera in cui cittadini ed imprenditori possano lavorare insieme, tutti parte di un unico futuro. La necessità, pena il fallimento, di ristrutturarsi e ristrutturare abbracciando produttività e servizi adatti al momento che stiamo attraversando, adeguandosi e preparandosi per quello che i nuovi tempi rappresenteranno.  L’economia è vita perché crea vita. Oggi invece è sofferenza fisica e psichica per gli imprenditori che contro tutto e tutti sono ripartiti sfidando, in primis, se stessi, le loro ancestrali certezze, i loro sogni e quindi l’economia nel suo complesso con la volontà di ricostruirla con quel grado di “plasticità” che può renderli generatori di reddito per se’ e per la collettività, guardando oggi anche alla sostenibilità ambientale. Parliamoci chiaro, quello che è accaduto ha svelato, in un battere di ciglia, la crisi profonda che già esisteva prima della pandemia in merito al modello di sviluppo occidentale nel mondo, al capitalismo, alla globalizzazione. Tutti noi, sia semplici professionisti che industriali, abbiamo “sentito” il peso della solitudine, il virus ci ha chiuso in casa e di riflesso ha fatto chiudere i nostri studi, uffici, attività e fabbriche. Siamo caduti in un’aurea di vera sofferenza: la solitudine appunto. In inglese esistono due modi per tradurre la parola “soli”: “alone” e “lonely”. Termini simili ma fondamentalmente differenti. Il primo significa “essere soli”, il secondo “sentirsi soli”. Il Covid ci è piombato addosso senza preavviso. Un giorno abbiamo inserito la chiave nella serratura della porta della nostra attività per chiuderla senza sapere come, quando e se avremmo potuto mai riaprirla. Ebbene quel gesto semplice ma altresì per molti versi “ultimo” e di una simbologia devastante, ci ha reso soli, anzi ci ha fatto sentire soli come non mai: tutta la nostra vita imprenditoriale e professionale da quel momento era sospesa, vacua, senza un tangibile domani. L’odierna situazione storico- economica era già stata ben fotografata tempo addietro nelle parole Egdar Morin, pseudonimo di Egdar Nahoum, filosofo e sociologo francese, il quale aveva sentenziato che il nostro abitare il “mondo insieme” i identificava nella parola “planetizzazione”, ovvero nella  ”comunità di destino”. Orbene il Covid ha fatto prendere coscienza a tutti, imprenditori ma anche semplici cittadini, dei grossi limiti di questo nostro abitare il mondo insieme. La solitudine ha fatto scattare in molti industriali la necessità al cambiamento, è stata la spia che ha rilevato agli occhi di tutti un nuovo mondo economico, sociale e conseguentemente finanziario. La necessità impellente di adeguare e ristrutturare con nuovi parametri industriali la nostra attività, ora o mai più. Le aziende dotate di maggiori capitali potranno riorganizzarsi nel breve periodo sia a livello finanziario che di capitale umano. Questo permetterà di accelerare cambiamenti radicali al loro interno e quindi riposizionarsi con successo sul mercato. Per contro molte altre, la maggior parte, cercheranno di “salvarsi” riproponendo il loro vecchio business ma alle condizioni precedenti cercando di sopperire come potranno allo shock epidemico. Tra le tante sfaccettature delle ristrutturazioni aziendali in primis vi sarà l’apertura di una nuova stagione contrattuale che superi finalmente la destinazione obsoleta tra lavoro dipendente ed autonomo. Nella realtà di un mercato del lavoro indebolito dalla crisi della domanda si contrappone oggi una leggera ripresa dell’offerta di beni e servizi, il tutto con un incremento dell’intervento statale e dei sindacati, giustificato dalla necessità di giustizia sociale in questa fase storica di trasformazione dove la coesione e la solidarietà sono oggi valori imprescindibili oltre che necessari per poter ripartire. Questo stato di emergenza che è sotto gli occhi di tutti, favorisce una fase di bassa conflittualità tra i diversi attori della scena economica nazionale ma le differenti visioni ed aspettative riemergeranno nel breve e quindi serve una comune, forte e pragmatica visione del futuro del lavoro onde evitare che le parti sociali antagoniste coinvolte accendano vertenze di cui nessuno vorrebbe e può avere a  che fare in questo momento. Quello che gli imprenditori auspicano è che la pandemia porti ad una riscrittura dello Statuto dei Lavoratori che ha compiuto 50 anni. Una nuova legge quadro con una visione di largo respiro e prospettica che faccia piazza pulita delle troppe ed obsolete leggi proliferate negli anni, demandando alla capacità contrattuale delle diverse parti un ruolo finalmente centrale nella nuova regolarizzazione del lavoro immediato, contemporaneo e di lungo termine mettendo così al centro del progetto a persona, sia essa dipendente ma anche imprenditore. Ed ecco ricomparire con forza la figura dell’imprenditore nel post pandemia. L’uomo imprenditore sempre contro tutto e tutti per rinascere sulla cenere del post-Covid e della rottura delle strutture tradizionali, dove il cambiamento industriale necessario a ripartire non porti più ad una alienazione emotiva che accentui la sensazione di solitudine. Nell’ economia attuale si intravede uno stato di ripresa ma anche di semplice sopravvivenza che acclara la disconnessione anche tra i partecipanti alla stessa categoria imprenditoriale. La paura e la necessità fisica ed economica a riemergere crea una situazione strutturale che di fatto convive con quella esistenziale perché il Covid 19 non è stato un equalizzatore sociale, ma bensì come tutte le grandi tragedie della storia ha colpito le aziende in modo e grado differente a seconda del loro stato economico-finanziario precedente ed oggi risultante dalla capacità ad investire così da ripresentarsi ristrutturati sul nuovo mercato. L’unico minimo comune denominatore tra gli imprenditori è lo stato di solitudine che, con il suo sottile ed invisibile filo unisce oggi più persone di quante fossero prima della pandemia. La solitudine svela uno stato di paura ma la paura è anche consapevolezza e quindi vera prova di saggezza.