LA “ MINIMUM GLOBAL TAXATION” E LA FILANTROPIA:

LA “ MINIMUM GLOBAL TAXATION” E LA FILANTROPIA:

  “…la filantropia nasce dalla compassione intesa come l’atto del patire insieme ( cum-pathos) , del provare cioè il dolore condiviso originato dalla comune miseria umana per cui, chi cercherà di alleviare quella sofferenza, renderà leggera anche la sua, diventando giusto…  – Arthur Shopenhauer –  “ . I ministri dei 20 paesi più ricchi nel   mondo  hanno sancito  il  pensionamento  della “Digital tax europee” e  contestualmente   la   nascita  di due nuovi principi fiscali condivisi.  Il primo :  la ripartizione del gettito fiscale complessivo delle multinazionali suddiviso  tra gli Stati dove esse  fiscalmente risiedono ed i Paesi dove vengono venduti  i loro prodotti e servizi.  Il secondo :  un’aliquota minima globale ( oggi  solo ipotizzata)  del 15% con  la possibilità,  per i Paesi in cui le multinazionali operano di più a livello economico e quindi  producono  ricavi , di tassare anche una  parte dei profitti.  Questo nuovo disegno economico-fiscale  riunisce  di fatto al suo interno ,  la “ volontà  filantropica” di ristabilire un legame stretto tra  la ricchezza prodotta  ed il  territorio competente , concetto fino ad oggi impossibile da recepire  nell’era  dell’immaterialità digitale.  Oggi però  le economie più evolute al mondo  stanno dimostrando  la volontà di   entrate nella nuova era della sostenibilità e dell’inclusione.  Nel dettaglio ,  l’accordo  definito al G20 di Venezia sulla tassazione globale  delle multinazionali ricalca esattamente il documento precedentemente stilato in sede Ocse con l’assenso scritto di 132 Paesi su 139.   La base è l’introduzione di un’aliquota minima globale  che dovrebbe collocarsi al 15%  dei  profitti delle 100 multinazionali più performanti in termini economici al mondo , ovvero le multinazionali, soprattutto digitali , con un fatturato di oltre 20 miliardi di $.  La principale novità è l’affermazione  giuridico-fiscale della figura di   “ Gruppo “ come soggetto passivo di imposta.  Ne consegue che  la  “capogruppo”  verrebbe tassata,  in via ordinaria nel Paese dell’effettiva residenza  fiscale e successivamente  in  forma straordinaria nei singoli Paesi dove le vendite vengono di fatto  realizzate e  ciò indipendentemente dalla sua presenza fisica in loco secondo il criterio consolidato della “ stabile organizzazione”.  Il fulcro di questo “ disegno fiscale”   è la divisione  netta e certa ( perché documentale) tra Paesi e mercati che ora viene  pensata in base ai “ricavi” e non più ai “profitti”.  Chi scrive, però  vuole porre  l’accento su  un importante  problema nell’applicazione di questa nuova metodologia fiscale. La problematica  risiede nel fatto lapalissiano che  le  amministrazioni dei diversi Stati   misurano  i ricavi  prodotti sul loro territorio in maniera  diversa.  Prodromico a ciò quindi ci si pone una domanda:  “… Se in un certo  Stato NON vi è  la stabile organizzazione e quindi quella società NON è tenuta a predisporre un regolare bilancio in quello Stato ove opera, come può  il fisco del luogo  competente ottenere le informazioni di cui abbisogna per effettuare i controlli –conteggi sul  valore dell’eventuale tassazione da applicare  ?? “  Rammento che ci si rivolge esclusivamente  alle grandi multinazionali che di fatto hanno un potere economico- finanziario   anche di molto   superiore agli Stati  con cui si confrontano, tanto che poi la loro “ forza economica” spesso permette di transare i  paganti fiscali  con   intese forfettarie ad hoc.   Nel merito , se   un Paese decide  di tassare i profitti aziendali al 7%, il Paese di residenza della multinazionale potrà riscuotere , per differenza , il restante 8%.  I  sostenitori di tale soluzione asseriscono che questa metodologia  permetterebbe di interrompere la corsa al ribasso della tassazione sulle società  in auge in tutto il mondo  da tempo, ribasso  che ha  causato una progressiva e costante riduzione del prelievo fiscale  , causando per contro  ingenti danni economici e sociali nel suo complesso.  ( n.d.r. : 55 tra le pricipali aziende USA quali Nike, Hp , Fedex ,nell’esercizio  2020  hanno pagato ZERO $ di tasse ma di contro hanno ricevuto 3 miliardi di $ sotto forma di crediti d’imposta).  Negli  ultimi anni, come detto,  abbiamo assistito ad una costante e progressiva diminuzione dell’imposizione fiscale sulle società, si è passati da un valore medio negli anni settanta del 40% all’attuale 20% , ottenendo come conseguenza un innalzamento costante sul prelievo fiscale sulle persone fisiche.  Da un primo conteggio , stimo approssimativamente che  se dovesse essere confermata l’aliquota unica del 15%, questa  potrebbe garantire un gettito aggiuntivo a livello globale , oltre a quello già  normalmente   incassato , pari a 240 miliardi di $, suddiviso in circa 70 miliardi per la  zona euro ed oltre 3 miliardi , pari a circa 2,7 miliardi di euro per il  solo Paese Italia.  Ciò rifletterebbe il paradigma che con l’applicazione di questa nuova metodologia impositiva  si permetterebbe la condivisione di almeno una parte del gettito complessivo ottenuto  tra tutti i Paesi in cui una  multinazionale effettivamente opera.  Attenzione però.  Se una certa azienda realizza in un certo Paese ricavi per almeno 1 milione di euro/anno (n.d.r. : 250.000 euro per le economie più piccole con PIL inferiore a 40 miliardi di euro) , la parte che eccede il 10% del margine operativo ( n.d.r.:  costi sostenuti per la produzione – ricavi ottenuti dalle vendite) per un   20% verrebbe tassata  con il normale prelievo sui profitti societari  nel Paese dove l’azienda realizza le vendite. ( n.d.r. :  ad esempio per l’Italia al 24%).  Per fotografare  l’applicazione   del progetto  nella realtà  facciamo un esempio pratico in  meri “soldoni”( euro) .  Se in Italia la società estera ZETA ottiene ricavi per 10 miliardi e sostiene costi per 8 miliardi , si avrà  un margine operativo di 2 miliardi pari al 20 % dei ricavi totali. La quota del 20% della parte eccedente il 10%  del margine operativo , pari ad 1 miliardo (  200 milioni ) verrebbe tassata in Italia tramite l’applicazione della normale aliquota  oggi in essere del 24% portando alle casse dello Stato un  ulteriore gettito di 48 milioni.  In chiusura porrei  però particolare  attenzione  su aspetti  quanto meno incoerenti che si possono riscontrare   oggi sul mercato globale delle grandi multinazionali .  Esistono gruppi che dichiarano profitti bassi, ma di contro segnano elevati valori di Borsa.  Ritengo  quindi che tutto sommato un’ aliquota del 15% non sia  poi troppo bassa . Pur essendo inferiore a quasi tutte le “ corporate tax” rilevabili nei diversi Paesi come pure  essere inferiore alla minore delle aliquote Irpef , il 15% verrebbe applicato, come detto ,  a livello di “Gruppo” a quelle  imprese con una soglia minima di 750 milioni di $ di fatturato :  a conti fatti non male!