
23 Lug LA “ MINIMUM GLOBAL TAXATION” E LA FILANTROPIA:
“…la filantropia nasce dalla compassione intesa come l’atto del patire insieme ( cum-pathos) , del provare cioè il dolore condiviso originato dalla comune miseria umana per cui, chi cercherà di alleviare quella sofferenza, renderà leggera anche la sua, diventando giusto… – Arthur Shopenhauer – “ . I ministri dei 20 paesi più ricchi nel mondo hanno sancito il pensionamento della “Digital tax europee” e contestualmente la nascita di due nuovi principi fiscali condivisi. Il primo : la ripartizione del gettito fiscale complessivo delle multinazionali suddiviso tra gli Stati dove esse fiscalmente risiedono ed i Paesi dove vengono venduti i loro prodotti e servizi. Il secondo : un’aliquota minima globale ( oggi solo ipotizzata) del 15% con la possibilità, per i Paesi in cui le multinazionali operano di più a livello economico e quindi producono ricavi , di tassare anche una parte dei profitti. Questo nuovo disegno economico-fiscale riunisce di fatto al suo interno , la “ volontà filantropica” di ristabilire un legame stretto tra la ricchezza prodotta ed il territorio competente , concetto fino ad oggi impossibile da recepire nell’era dell’immaterialità digitale. Oggi però le economie più evolute al mondo stanno dimostrando la volontà di entrate nella nuova era della sostenibilità e dell’inclusione. Nel dettaglio , l’accordo definito al G20 di Venezia sulla tassazione globale delle multinazionali ricalca esattamente il documento precedentemente stilato in sede Ocse con l’assenso scritto di 132 Paesi su 139. La base è l’introduzione di un’aliquota minima globale che dovrebbe collocarsi al 15% dei profitti delle 100 multinazionali più performanti in termini economici al mondo , ovvero le multinazionali, soprattutto digitali , con un fatturato di oltre 20 miliardi di $. La principale novità è l’affermazione giuridico-fiscale della figura di “ Gruppo “ come soggetto passivo di imposta. Ne consegue che la “capogruppo” verrebbe tassata, in via ordinaria nel Paese dell’effettiva residenza fiscale e successivamente in forma straordinaria nei singoli Paesi dove le vendite vengono di fatto realizzate e ciò indipendentemente dalla sua presenza fisica in loco secondo il criterio consolidato della “ stabile organizzazione”. Il fulcro di questo “ disegno fiscale” è la divisione netta e certa ( perché documentale) tra Paesi e mercati che ora viene pensata in base ai “ricavi” e non più ai “profitti”. Chi scrive, però vuole porre l’accento su un importante problema nell’applicazione di questa nuova metodologia fiscale. La problematica risiede nel fatto lapalissiano che le amministrazioni dei diversi Stati misurano i ricavi prodotti sul loro territorio in maniera diversa. Prodromico a ciò quindi ci si pone una domanda: “… Se in un certo Stato NON vi è la stabile organizzazione e quindi quella società NON è tenuta a predisporre un regolare bilancio in quello Stato ove opera, come può il fisco del luogo competente ottenere le informazioni di cui abbisogna per effettuare i controlli –conteggi sul valore dell’eventuale tassazione da applicare ?? “. Rammento che ci si rivolge esclusivamente alle grandi multinazionali che di fatto hanno un potere economico- finanziario anche di molto superiore agli Stati con cui si confrontano, tanto che poi la loro “ forza economica” spesso permette di transare i paganti fiscali con intese forfettarie ad hoc. Nel merito , se un Paese decide di tassare i profitti aziendali al 7%, il Paese di residenza della multinazionale potrà riscuotere , per differenza , il restante 8%. I sostenitori di tale soluzione asseriscono che questa metodologia permetterebbe di interrompere la corsa al ribasso della tassazione sulle società in auge in tutto il mondo da tempo, ribasso che ha causato una progressiva e costante riduzione del prelievo fiscale , causando per contro ingenti danni economici e sociali nel suo complesso. ( n.d.r. : 55 tra le pricipali aziende USA quali Nike, Hp , Fedex ,nell’esercizio 2020 hanno pagato ZERO $ di tasse ma di contro hanno ricevuto 3 miliardi di $ sotto forma di crediti d’imposta). Negli ultimi anni, come detto, abbiamo assistito ad una costante e progressiva diminuzione dell’imposizione fiscale sulle società, si è passati da un valore medio negli anni settanta del 40% all’attuale 20% , ottenendo come conseguenza un innalzamento costante sul prelievo fiscale sulle persone fisiche. Da un primo conteggio , stimo approssimativamente che se dovesse essere confermata l’aliquota unica del 15%, questa potrebbe garantire un gettito aggiuntivo a livello globale , oltre a quello già normalmente incassato , pari a 240 miliardi di $, suddiviso in circa 70 miliardi per la zona euro ed oltre 3 miliardi , pari a circa 2,7 miliardi di euro per il solo Paese Italia. Ciò rifletterebbe il paradigma che con l’applicazione di questa nuova metodologia impositiva si permetterebbe la condivisione di almeno una parte del gettito complessivo ottenuto tra tutti i Paesi in cui una multinazionale effettivamente opera. Attenzione però. Se una certa azienda realizza in un certo Paese ricavi per almeno 1 milione di euro/anno (n.d.r. : 250.000 euro per le economie più piccole con PIL inferiore a 40 miliardi di euro) , la parte che eccede il 10% del margine operativo ( n.d.r.: costi sostenuti per la produzione – ricavi ottenuti dalle vendite) per un 20% verrebbe tassata con il normale prelievo sui profitti societari nel Paese dove l’azienda realizza le vendite. ( n.d.r. : ad esempio per l’Italia al 24%). Per fotografare l’applicazione del progetto nella realtà facciamo un esempio pratico in meri “soldoni”( euro) . Se in Italia la società estera ZETA ottiene ricavi per 10 miliardi e sostiene costi per 8 miliardi , si avrà un margine operativo di 2 miliardi pari al 20 % dei ricavi totali. La quota del 20% della parte eccedente il 10% del margine operativo , pari ad 1 miliardo ( 200 milioni ) verrebbe tassata in Italia tramite l’applicazione della normale aliquota oggi in essere del 24% portando alle casse dello Stato un ulteriore gettito di 48 milioni. In chiusura porrei però particolare attenzione su aspetti quanto meno incoerenti che si possono riscontrare oggi sul mercato globale delle grandi multinazionali . Esistono gruppi che dichiarano profitti bassi, ma di contro segnano elevati valori di Borsa. Ritengo quindi che tutto sommato un’ aliquota del 15% non sia poi troppo bassa . Pur essendo inferiore a quasi tutte le “ corporate tax” rilevabili nei diversi Paesi come pure essere inferiore alla minore delle aliquote Irpef , il 15% verrebbe applicato, come detto , a livello di “Gruppo” a quelle imprese con una soglia minima di 750 milioni di $ di fatturato : a conti fatti non male!