
18 Gen IL BLOCCO DI TRUMP : QUESTA NON E’ DEMOCRAZIA
…” Quando si scoprì che l’informazione era un affare, la verità smise di essere importante”… bisogna partire da questa citazione del giornalista, scrittore e saggista polacco Ryszard Kapuscinski , laurea “Honoris Causa” dell’ Università degli Studi di Udine, per valutare obbiettivamente i fatti di questi giorni. Per la prima volta nella Storia un’oligarchia di aziende ha autonomamente deciso della libertà di espressione di un soggetto terzo, chiunque esso sia e fosse pure il Presidente degli Stati Uniti d’America . Facebook ha “sentenziato” , per voce del suo fondatore, di “…bloccare Trump a difesa della democrazia…” neanche fosse Zuckerberg il Presidente di uno Stato sovrano ( capo di Stato non eletto) rivolto ai suoi cittadini, anziché il CEO di una Corporation. Il modus operandi di Facebook e’ quindi stato seguito da Twitter , Snapchat . Poi anche Apple , Google ed Amazon hanno bannato dai loro store Parler , social network che fornisce un servizio di discussione libera tra cittadini, da tempo molto in voga tra il “popolo” Trumpiano ; anche questa azione con un vero e proprio colpo di mano tipico da “ editto bulgaro”. I blocchi, anche se paventati da un’aura di “ significato democratico” , sono stati applicati per violazione delle policy delle grandi piattaforme : insomma libertà di parola contro libertà d’impresa! L’analisi circa la gravità sull’accaduto si pone su due binari ben distinti anche se paralleli. Il primo rigorosamente giuridico “ de iure condito”: i gestori delle piattaforme hanno proceduto al blocco dell’account e/o rimozione di un contenuto , esercitando diritti contrattuali esistenti e validi nei confronti di tutti gli utenti e ciò nell’ambito dei termini contrattuali del servizio proposto. Ad onor del vero pongo l’accento sul fatto che esistono obblighi di legge contemplati sia nell’Ordinamento Americano che in quello Europeo , secondo i quali “ il gestore di una piattaforma seppur non e’ tenuto a monitorare le condotte di tutti i propri utenti , se non vuole incorrere in azioni legali e risponderne in prima persona, ha l’obbligo di rimuovere , appena accertati, i contenuti illeciti pubblicati dagli stessi ”. Esiste però una seconda posizione che ricade nel “ de iure condendo”. Questa si colloca in un contesto più politico e prospettico, quindi di governo, circa un futuro programmato tramite normative in elaborazione che acclarino la non condivisione di quanto accaduto nell’ottica di una sostenibilità democratica . Ci dobbiamo porre la domanda se e come un soggetto privato ( che peraltro agisce per contratto e quindi legittimamente mosso dalla logica del profitto e chiamato a rispondere del suo operato solo ai propri azionisti) possa decidere in una democrazia , dei diritti , delle libertà fondamentali e quindi costituzionali di un qualsivoglia individuo. La mia risposta è “NO” ! Di qualsiasi soggetto privato si possa parlare , questi non potrà mai bloccare a suo piacimento un profilo social . A farlo deve essere esclusivamente un’ Autorità perché il valore di un profilo social deve sempre eccedere il mero esercizio di un rapporto contrattuale , dovendosi riconoscere in esso il suo senso necessario e costituzionale . Si tratta di uno strumento visto in una dimensione unica ed insostituibile di espressione di un diritto personale fondamentale : non può e non deve toccare ad un soggetto privato decidere quando è arrivato il momento di ordinare l’ostracismo mediatico di un cittadino . Ciò accadeva nella democrazia ateniese del 500 a.c. dove all’esito di una certa votazione il popolo condannava a 10 anni di esilio, chi avrebbe potuto essere un pericolo per la democrazia , Peraltro se oggi accettiamo passivamente quanto imposto dai social network nei confronti di Trump , nel medio periodo la cura risulterà di gran lunga peggiore del male perché accentuerà , per la democrazia , rischi superiori di quelli che vorrebbe oggi evitare. A parere di chi scrive Facebook e Twitter hanno posto in essere un vero e proprio gesto sovrano, sovversivo e destabilizzante rispetto all’ordine democratico, tanto quanto quello di Trump che non ha accettato il risultato democratico delle urne. Ritengo che la risposta di uno Stato , ad un illecito che si consuma nella “dimensione digitale” , non debba essere ritenuta e giuridicamente vissuta in maniera diversa rispetto a quella di un illecito che si consuma nella “dimensione fisica”. In questo contesto non dobbiamo scordare che se Donald Trump è stato il 52° presidente USA una grande parte del merito lo deve proprio ai social network , terreno dove ha sempre vinto ogni duello mediatico ,durante le precedenti elezioni , nei confronti della candidata democratica Hillary Clinton. Ed è proprio sui social che il tycoon ha creato il suo consenso. Durante il suo mandato ha continuato ad usare i social come propri canali ufficiali preferenziali di comunicazione , di fatto cambiando le vecchie regole del gioco politico in USA. Non è un caso come sia accaduto spessissimo che un tweet di Trump abbia mandato in orbita (o affossato) i listini di Wall Street. Sono entrati oramai nella storia i due messaggi più postati dal Presidente in questi anni “ American First” e “ Make American Great Again”. In questo contesto risultano forti le dichiarazioni , al riguardo della chiusura da parte dei social network degli account del presidente uscente Donald Trump , da parte della cancelliera tedesca Angela Merkel : “… è possibile interferire con la libertà di espressione , ma secondo i limiti definiti dal legislatore, e non per decisione di un management aziendale..” . Dello stesso tenore anche il ministro dell’economia francese Bruno Le Maire il quale ha dichiarato : “… La regolamentazione dei giganti digitali non può essere fatta dalla stessa oligarchia digitale. L’oligarchia digitale oggi è una delle minacce più importanti che gravano su Stati e democrazie…” . Ed in tutto questo bailamme di fatti l’economia e la finanza come hanno reagito? Sicuramente l’assalto a Capitol Hill e’ stato l’11 settembre dei social media. Gli scontri occorsi a Washington hanno brutalmente dimostrato la fragilità delle nostre democrazie , la loro sopravvivenza è di fatto minacciata dalle società tecnologiche molto poco regolamentate. Non è un caso che proprio nel passato mese di Dicembre la Commissione UE abbia varato il “ Digital Services Act”. Un pacchetto normativo rivolto alla libera concorrenza ed alla costituzione di garanzia sulla responsabilità nel mercato digitale europeo. Tutto questo si concretizzerà con il rafforzamento dei poteri antitrust di Bruxelles che potrà così imporre il frazionamento dei colossi americani all’interno della UE. Queste azioni cercano di porre un rimedio ( tardivo) alla situazione venutasi a creare a seguito del caso Trump e ciò nell’indifferenza attonita di un mondo stremato dalla pandemia, ma anche dall’irresponsabilità di chi doveva controllare e prevenire certe situazioni perché dotato dei poteri specifici nei vari governi mondiali. Oggi tutto è esploso facendo partire la caccia al colpevole, troppo facilmente individuato in Donald Trump. La situazione è scappata di mano a tutti e vede il mondo precipitare in una incertezza assoluta e questo proprio alla vigilia dei mesi più difficili della nostra storia recente sia economica che sociale il cui giudizio finale sarà affidato alla storia . Oggi tutto è avvolto in uno stato d’ansia regolatoria draconiana divenuta sempre più insopportabile perché imprevedibile. Al 13 gennaio i social continuavano la loro discesa in borsa Facebook con il -2% a 251,6 $ e Twitter con il -2,3% a 47,04 $ : tutto questo , non dimentichiamolo è direttamente imputabile alla censura posta in essere nei confronti di Trump . I due social media stanno perdendo utenti che sono in fase di continua e massiccia migrazione su altre piattaforme ritenute “non ostili “ al presidente Trump ed al loro slogan “ stop the steal “.