EUROPA OGGI

Europa è l’enorme progetto, unico al mondo, di un’unione politica basato su valori condivisi. Oggi però, come accade in tanti matrimoni, dopo anni di coesione, l’amore sembra finito.Le elezioni europee previste per il 26 maggio prossimo rappresentano il fatidico momento in cui verrà scattata l’inconfutabile fotografia sul nostro futuro europeista: o ne usciremo più forti, oppure ognuno andrà per la propria strada, sempre più divisi. L’interesse nazionale ha, in sostanza, preso il sopravvento sull’interesse collettivo. Esistono cause recenti quali la Brexit e le elezioni di Donald Trump negli Usa, avvenute nel 2016, che hanno condizionato, e continuano a farlo, le politiche nazionali, europee, transatlantiche e quindi del mondo intero.Di fatto, la Brexit è il primo divorzio della storia nella UE. Sia europeisti che brexiters, eravano tutti impreparati all’evento ed alle sue conseguenze, considerandolo semplicemente come uno scontro ideologico e non quello che in realtà è: una lista dettagliata di richieste all’interno di un quadro giuridico-politico ben definito. Come accade in un qualsiasi divorzio, siamo entrati nel merito del pagamento degli alimenti (quanto dovranno pagare gli Inglesi per il budget europeo) ed alla divisione dei beni (chi controllerà, di fatto, il confine nord-irlandese). In tutto questo bailamme di domande e precarie risposte, ad oggi si sono sprecati più di mille giorni di negoziati e ciò è follia pura se si pensa che in Inghilterra si è vissuto un referendum “secco”: dentro o fuori dalla UE. Il referendum era finalizzato a risolvere una diatriba aperta da decenni che invece, a risultato acquisito, ha visto persone di entrambe le parti, disperate ed intente a rimandare il più possibile l’atto definitivo di separazione. La Brexit però, dopo mille giorni di trattative, ci ha ricordato molte cose sulla UE che sembravano dimenticate: viviamo in un mercato forte, il quale ha dato comodità a tutti i partecipanti e ciò ha permesso di capire che, alla fine dei conti, a perderci sarà chi ne rimane fuori. Questo ha dimostrato che l’uscita dall’Unione è la semplice ambizione di estremisti nazionalisti o un colpo di follia momentanea degli inglesi. Oggi l’Europa è riuscita a dimostrare a tutti una grande unità nei confronti del Regno Unito divorzista, pur creando la Brexit, nuove e profonde fratture. Quella più rilevante è quella tra i paesi dell’est e quelli dell’ovest, dove, i nuovi arrivati si sono schierati contro i soci fondatori. L’esempio più calzante di questa divisione è la Central European University, fondata da George Soros nel 1991 a Budapest. Il governo ungherese, guidato dal presidente Victor Orban, ha deciso, con iniziativa propria e senza appello, di sospendere la licenza all’università, che a partire da settembre 2019, inizio del nuovo anno accademico, sarà costretta a trasferirsi a Vienna. Nell’est europeo vi sono altri segni di mutamento, tra i quali vi è la stessa Italia che si sta avvicinando sempre più ai nuovi paesi dell’est entranti, nell’Unione, allontanandosi però così dal motore franco-tedesco. Di fatto i Paesi dell’est non sognano di uscire dall’UE perchè i fondi che arrivano da Bruxelles sono alla base e rappresentano la prima risorsa del riscatto economico e sociale delle ex Repubbliche Sovietiche. È triste doverlo ammettere ma la UE per loro è come un bancomat, un parente ricco da coccolare finchè stacca il suo assegno mensile. In ciò si nota come l’opportunismo dell’est dell’Europa sia un elemento di rottura profonda. In questo contesto il cosiddetto “orbanismo” (la dottrina di democrazia illiberale facente capo al premier ungherese) è contagioso e spezza sempre di più il partito popolare europeo. Tra i temi importanti ed attuali, quello più in discussione è senza dubbio l’immigrazione. Bisogna riformare e ridefinire i trattati, introdurre finalmente un solido principio di solidarietà europea, che tra l’altro sarebbe di fondamentale importanza per l’Italia, che è così geograficamente esposta alla crisi migratoria. Ad ovest dell’UE si cerca di non rassegnarsi all’assenza di dialogo ed a non tradire il progetto europeo con i Paesi dell’est. Si cerca così un rilancio di fatto dell’Unione, con quello che viene definito il nuovo “Rinascimento”, cavallo di battaglia, tra l’altro, del Presidente francese Emmanuel Macron nelle elezioni politiche del 2017.Bisognerebbe che tutti però non dimenticassero e/o rileggessero quanto scritto da Silvio Pellico ne “Le mie prigioni”: quella è stata l’alba del Risorgimento, dove l’assenza di autocommiserazione potrebbe oggi ben configurarsi nel nuovo contesto europeo.La tendenza illiberale però non è confinata ai soli Paesi dell’est, basti pensare alle ultime elezioni italiane dove il governo gialloverde ha inferto un duro colpo a quell’idea di nuovo Rinascimento europeo; a ciò si sono unite anche le proteste dei gilet gialli a Parigi, che ormai proseguono da mesi e sono culminate nei folli disordini del primo maggio.E dire che l’Europa di Schengen è stata una vera e propria rivoluzione per il popolo europeo: 500 milioni di persone, con i dettami odierni, possono lavorare, viaggiare, vendere e comprare liberamente su un’area di 4,3 milioni di chilometri quadrati, con un valore degli scambi che aumenta il 10% di anno in anno.Come sempre nella storia e, quindi, nell’economia, il rinascimento europeo deve avere molto a che fare con la memoria.Quello odierno sarebbe un modo di guardare al futuro con la consapevolezza e la sincerità di dire che le cose da aggiustare sono parecchie, ma distruggere tutto quello che c’è non ci aiuterà sicuramente a risvegliarci un giorno migliori e più forti.Forse significa anche sperimentare corteggiamenti con nuovi partner, quali i russi o i cinesi, con i quali però abbiamo minori sintonie storiche, culturali e sociali, a differenza di quelle che vi sono con il popolo americano.Il progetto comunitario ha garantito sino ad oggi e, ove resistesse garantirà stabilità, ricchezza e pace, un concetto che in geopolitica viene indicato con l’espressione “ordine liberale globale”.

Fabio Accinelli