BANCHE IN CRISI: ZERO SOLUZIONI

Uno dei regali di Natale che nessuno voleva è stato consegnato. Magari senza Babbo, le renne e la slitta, ma puntualmente è giunto a destinazione, causando un nuovo caso politico, oltre che economico. Si tratta dell’ennesimo default bancario: quello della Banca Popolare di Bari. Oggi sia maggioranza che opposizione si sono scagliati contro la Banca d’Italia ed anche contro la Consob a causa del fatto che la Popolare di Bari ha un azionariato diffuso: per entrambe le Istituzioni di controllo si tratterrebbe di mancata e/o inadeguata sorveglianza. Ad onor del vero, tra le poche cose positive (a parere di chi scrive) del governo Renzi è la riforma che imponeva alle più importanti Popolari, l’obbligo di trasformarsi in Spa e, quindi, fondersi tra loro. Da questa riforma, che avrebbe potuto rappresentare un ottimo frazionamento del rischio a tutto vantaggio dei correntisti, si è avuto solamente un caso concreto di fusione, quella tra Bpm e Banco Popolare. E qui si ricade nel “burocratese” del nostro strano, anzi stranissimo, Paese, dove grazie ad una decisione stigmatizzabile del Consiglio di Stato la BPB ha mantenuto il voto capitario (ndr: per voto capitario si deve intendere che ogni socio è il titolare e portatore di un singolo voto e ciò indipendentemente dal numero di azioni possedute personalmente e/o rappresentate). Appare palese, anche agli occhi dei meno esperti di finanza, che tutto ciò ha disegnato una situazione che lascia ampi spazi ad ambiguità nella governance stessa della banca. Di fatto il default comprende l’esposizione verso la clientela e le correlate garanzie che debbono assisterla.  Nel sistema bancario italiano, tra le tante problematiche, esiste quella della scarsezza e difficoltà nella erogazione dei prestiti.  A fare la differenza nella erogazione dei finanziamenti, sia essi ai privati che alle imprese, è il cosiddetto “merito creditizio” che serve a valutare, tramite parametri tecnico/economici, se in rapporto all’ammontare del finanziamento richiesto esistono le condizioni economiche del richiedente affinché venga restituito alle scadenze contrattuali dello stesso. Ad esempio, nel nostro Paese accade che le PMI  siano spesso sotto-patrimonializzate e ciò evidenzia una fragilità finanziaria che le limita nell’accesso al credito. Appare evidente che servirebbe più il capitale di rischio e meno quello di debito, basti pensare come, ad esempio, negli USA sul mercato esistano diverse possibilità di finanziamento extra-bancario, come venture capital o fondi di private equity. Tornando al caso Banca Popolare di Bari. La Puglia viene definita come “terra di fede e tradizione, terra del mare, del sole, della  buona cucina, una regione ospitale che regala emozioni….”, questa è la faccia bella e vera di una regione piena di contraddizioni, soprattutto a livello economico e finanziario. Il default, peraltro annunciato, della Banca Popolare di Bari è l’altra faccia della stessa medaglia.  Con la crisi cronica dell’Ilva e del suo indotto ma altresì i gravi problemi dell’agricoltura con la xilella, la regione ha subito un forte ed inarrestabile rallentamento nell’economia. Fatti questi che non potevano certo risparmiare il sistema bancario, con danni e problemi a catena che ne sono stati una naturale conseguenza.  Il mondo politico si inserisce in questo contesto quando con una mano chiede alle Banche una concessione del credito con condizioni più facili per i richiedenti, mentre con l’altra – al nascere di un qualsivoglia problema  – ne scaricano tutta la responsabilità alle Banche stesse. E’ il gioco delle tre tavolette, dove la politica però tiene sempre il banco: piace vincere facile.

Fabio Accinelli